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Fatti e
personaggi della grande Napoli
di
Rosario Ruggiero
Il
Salotto Minozzi

Secolare,
affascinante e proficua tradizione quella delle riunioni culturali
domestiche. In casa Ottoboni gareggiò, per il primato come
esecutore, Georg Friedrich Händel con Domenico Scarlatti,
similmente, alla corte viennese dell’imperatore Giuseppe II,
Wolfgang Amadeus Mozart con Muzio Clementi, nell’ambito di
riunioni culturali domestiche nacquero forme musicali
imprescindibili come il melodramma e la canzone classica napoletana,
in tali contesti improvvisava al pianoforte Fryderyk Chopin, Franz
Liszt proponeva alla tastiera le sue parafrasi e trascrizioni di
musiche altrui divulgando così, in un’epoca, l’Ottocento,
che non poteva vantare radio, televisione, giradischi ed
altre forme simili di riproduzione sonora, pagine musicali, teatrali
e sinfoniche, per chi non aveva avuto l’opportunità di ascoltarle
nel contesto e con l’organico per il quale erano state destinate
dai loro autori. Insomma fucine di cultura ed occasione di
esibizione artistica impagabili questi convegni, a Napoli fiorenti
e, fortunatamente, ancora generosamente attuali, favoriscono
preziosi scambi di idee ed utili opportunità per autori e
interpreti, divulgano e tutelano ancora oggi forme d’arte, come la
poesia, per quanto nobilissime, trascurate dai più moderni,
invasivi mezzi di comunicazione di massa.
E
sullo spessore culturale di alcune di essi c’è ben poco da
discutere, come su quello del Salotto Minozzi.
Attivo
a cavallo dei due ultimi secoli scorsi, nacque per opera di Achille
Minozzi persona che, in gioventù, laureatosi in ingegneria con una
tesi su una rete fognaria di Napoli, presentava il progetto alle
autorità competenti per la possibilità di realizzazione. Progetto
favorevolmente giudicato, possibilità di sua realizzazione
rifiutata per la mancanza dei fondi necessari, la qual cosa non
scoraggiò l’ingegnere che riuscì a realizzare l’opera con
copertura finanziaria avuta in Belgio dal banchiere Rothschild.
Fu
l’inizio del successo economico e sociale di un uomo sensibile
alla cultura, che ricoprì anche incarichi al teatro di San Carlo e
presso il giornale “Il Mattino”, investì in opere d’arte ed
aprì le porte della sua casa, alla migliore classe colta, cittadina
e non solo.
A
questo punto riportare testualmente, qui di seguito, passi di una
lettera, datata Pasqua 1973, che mi fu data in fotocopia da
Giancarlo Cosenza, discendente di questa inclita prosapia che ha
anche la fortuna di poter annoverare figure come quella
dell’ingegnere, architetto ed urbanista Luigi Cosenza, è, con
ogni probabilità, la maniera più efficace per immergere il lettore
nella magnifica temperie di quel prestigioso cenacolo.
«Caro
Luigi, cara Maria Teresa,
ancora
oggi, ogni domenica pomeriggio, mi assale la nostalgia del vostro
salotto, e mi ritrovo lì dove l’accoglienza di voi tutti mi
rendeva felice, lì dove ho appreso ad amare l’Arte in ogni sua più
bella espressione. Eravate lì: i Nonni indimenticabili, il
carissimo Comandante, voi quattro un po’ turbolenti ma generosi e
leali, e Lei, Ada – Lei, che col suo fascino era il fulcro di
quelle riunioni –
Introdotti
dai fidati e impeccabili domestici Peppino e Giovanni, si entrava
nella splendida casa, sul mare di Mergellina. Il salone
d’ingresso, il salone da pranzo, il salotto di centro, la galleria
Gemito, la galleria Antonio Mancini, il biliardo, il salone dorato
portavano al salone d’angolo, a quello cioè che era diventato un
vero tempio dell’Arte. Vi troneggiava un raro Steinway a coda,
tutelato da un calco della maschera di Beethoven e da una vittoria
di Samotracia. C’erano anche tanti bei quadri, e libri e
magnifiche edizioni d’arte. Rivedo gli amici e gli ospiti
assiepati tutt’intorno per ascoltare musiche, conferenze, recite
di versi e di teatro. In quell’epoca lontana, non radio, non
giradischi né tampoco televisione avevano diffuso la cultura di
massa. Era quindi un raro godimento spirituale il poter ascoltare,
nel vostro salotto le più inedite e belle esecuzioni musicali. Le
larghe vedute, la profonda conoscenza delle cose che distinguevano
la vostra Famiglia facevano sì che, in quei convegni si potesse
discutere di tutto: di pittura, di musica, di letteratura, di
teatro,di politica, di alta finanza, ed a sentire quelle
conversazioni, le nostre menti infantili si aprivano su un nuovo
mondo.
Tra i
pittori e gli scultori ricordo: Vincenzo Gemito, Pietro Scoppetta,
Vincenzo Volpe, Vincenzo Caprile, Peppino de Santis, Francesco
Hyerace, Rubens Santoro, Nicolas de Corsi, Eduardo Galli, Paolo
Vetri, Monteforte, Migliaro, Casciaro, de Lisio, Spagnuolo, Galante,
Borgoni, Petruolo, Crisconio, Meconio e tanti altri.
Al piano
(che era stato firmato dal sommo Moritz Rosenthal in occasione di un
suo “recital”) si alternavano musicisti insigni. Prime fra
tutti, per la sua Arte e per la tenerezza da cui era circondata in
casa vostra, la cara, sublime Tina Filipponi, insuperata interprete
di Chopin. Ascoltandola, partecipavamo tutti all’incanto che la
sua sensibilità diffondeva. Quando non suonava Lei, pareva che il
salotto divenisse muto e freddo, e quando, troppo giovane, si
spense, nessuno più seppe rendere Chopin come Egli stesso avrebbe
voluto.
Suonarono
anche : il cellista spagnolo Gaspàr Cassadò, il titanico Carlo
Zecchi e tanti altri, tutti bravissimi, l’anziana ma ancor
brillante donna Nina Maglione Oneto, le tre botticelliane sorelle
Vetere, il maestro Achille Longo, Tita Parisi ed Enrico Naso, donna
Laura Conti, il violinista Tufari, il piccolo de Lisio, il piccolo
Fidanzini, Maria Luisa d’Errico e due siciliani Maestri Schininà
e Ferro.
Artisti
affermati e promesse sicure, tutti ambivano il battesimo d’arte in
casa Minozzi.
Spesso
intervenivano compositori come il delicato Cilea dell’
“Arlesiana” e dell’ “Adriana”, il delicatissimo Mario
Persico di “Morenita” e Savasta, Longo ed altri ancora.
Ascoltammo
illustri cantanti “dal vivo”.
Ancora alunna del Conservatorio, Maria
Caniglia, semplice e solenne, fu presentata dal caro conte Peppino
Calletti, maestro di dizione e declamazione al “San Carlo” ed a
San Pietro a Majella. Quasi ignara di quella sua meravigliosa voce,
cantò la romanza dell’Andrea Chénier “Porto sventura a chi
bene mi vuole”. Il pubblico di intenditor ascoltava in silenzio,
commosso. Alle fine, non fu un applauso, fu un delirio…»
«…Una
volta sola l’armonia di quelle riunioni rischiò di essere
turbata, e fu una domenica (fra il 1920 e io 1925, credo) quando
arrivarono due giovani esponenti di illustri famiglie. L’uno era
Elio, figlio dello statista Emanuele Gianturco, l’altro, Renato,
figlio del Professore Caccioppoli e di una Bakunin.
Fu come se
si fossero presentati due progenitori degli attuali Hippies.
A quattro
mani, al piano, esasperandone i ritmi, cominciarono ad eseguire
brani della Petruska di Strawinsky.
In quei
tempi, in fatto di musica d’opera, si giurava ancora su Rossini,
Bellini e Verdi: a stento si arrivava a Puccini, perché troppo
bella era la sua musica e non la si poteva rinnegare, ma già
Mascagni e Giordano erano traguardi troppo avanzati, figurarsi
Strawinsky! E chi lo conosceva? Chi lo capiva?Gli ascoltatori, tutti
tradizionalisti ad oltranza, aspettavano esterrefatti la fine
dell’esecuzione, che fu accolta in silenzio. Con estrema
disinvoltura i due attaccarono allora quello che oggi useremmo
chiamare un “arrangiamento” della Traviata: “Amami
Alfredo….”
A quel
punto, Don Achille, mecenate cortese, non ci vide più, e, per la
prima volta in vita sua, venendo meno ai suoi doveri di ospite,
intimò all’originale “duo” di smetterla ed espulse i
profanatori dal tempio.
Da allora
è trascorso un mezzo secolo ed abbiamo potuto maturare un ben
diverso giudizio sull’opera di Strawinsky, ma in quegli anni venti
la si reputava troppo rivoluzionaria.»
«…. ancora una rapida carrellata
sulle pagine della memoria e rivedo: Salvatore Di Giacomo,
Ferdinando Russo, donna Matilde, de Nicola, Marciano, Porzio,
Simoncelli, il filosofo Angelo Conti, Ugo Ricci, gli Scarfoglio, il
senatore Pascale, …..»
E
chiude significativamente:
«Qualche
anno prima della seconda guerra, per lutti e dolori il salotto
Minozzi concluse per sempre quella pagina di costume che per tanti
anni era stata luce e ricchezza per tutti. Nel ritmo della vita di
oggi, arida e sconvolgente, mi sembra gran ventura l’aver potuto
conservare tanti bei ricordi. Avrei voluto saperli esprimere tanto
meglio, questi miei ricordi. Però sono sicura che voi comprenderete
come sia stato il mio cuore ad esprimerli.
E, con
tale sicurezza, ogni domenica pomeriggio sappiatemi immancabilmente
vicina alla mia Madrina.
Rosaria»
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