Nuovo Teatro Nuovo
Fino al 26 dicembre “Gomorra” di Mario Gelardi e Roberto Saviano
Da vedere
Servizio di Marco Catizone
Napoli – “Il segreto dell´esistenza non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per cosa si vive”(F. Dostoevskij). E quale l’essenza vivida dell’esser camurrista, generato da terra livida, miasmi qual guizzi di sibilla, fiumane carsiche di sangue e cemento, punte nella carne, avvelenate? Quale il conto d’ esse fluido di Mater “Gomorra” , replicanti inscatolati, pelati di senso, assenso di morte, sordidi colpi per banale ingiustizia? Cui prodest?, a citar “Robberto” (Ivan Castiglione, anima narrante nell’inferno della scena), l’esser figli di Gomorra, quando l’orrore del reale devasta e sbrana, tra rigurgiti amorali di turbo-capitalismo asettico, kalashnikov come artigli a sbreccare il piano di superfici riflesse, bagliori che illuminano notti da bunker sommersi, e non rischiarano, non riscaldano mai. A che serve, il comando, per greagri e comparse, manager e capi, boss e capesante, se la via di fuga non c’è, è budello limaccioso come tunnel di carta, un fruscio, rumore, palpito, è sei “fatto”, morto in strada, da sicari attinto, oppure in gabbio, da sirene capto? Tunnel di carta, come un romanzo documentato, una fiction teatrale, sì vera da bruciare, da arrossare occhi e rauca voce; “Gomorra”, milioni le copie, migliaia d’occhi voluttuosi, a narrare le vicende dei replicanti, a scipparne i dettagli grotteschi e macabri; una pioggia di bossoli, dagli ’80 in avanti: e Cutolo, Bardellino, Nuvoletta, Giuliano, Quartieri, Scampia, cobret, coca, mignotte e Casalesi, bufale annerite da cemento e monnezza, vite di scarto che risalgono l’empireo fulgente, di una finanza “fottibile”. Un girone d’affari magmatico d’oltre 12 miliardi d’euro annui, economia alchemica e trasmutata, appalti e usura, stupefacenti e rifiuti, oro percolato: “L’orrore del reale è nulla contro l’idea dell’orrore” , come Macbeth di Casale, tribù provincialotte e rurali con masters alla Bocconi, demoni armati nel botro notturno, lancinante profitto da ululare alla luna, conti in Borsa e pistole alla cintola: la filiera è trenovelocenerocarbone, prossima fermata Nord Italia. “E’ lì che i clan fanno affari, è al Nord che vincono”, Saviano ammonisce, e la scena è polverosa, cantiere in disfacimento perpetuo, Napoli è solo una tavola lignea, quella d’una zattera nel gorgo, quella d’una cassa funerea e lignea, nera come maschera d’un Pulcinella nudo e ferale. E’ sogno muscolare, il “Pezzo”, la piece in scena al Nuovo, il trenoveloce travolge buoni e & cattivi, perché “il male è il prodotto dell´abilità degli uomini”, Sartre docet, ed il piccolo sarto Pasquale (un solido Ernesto Mahieux) incarna, incarta, cuce-scuce i pensieri di chi è sospeso e compresso; i sogni degli uomini sono rovelli distorti nell’iniquità d’una vita in rincorsa, ed un “fatto” irreversibile. Picachù (Francesco di Leva), Kit-Kat (Adriano Pantaleo), lo Stakeholder (Giuseppe Miale di Mauro), Mariano (Giuseppe Gaudino), figure d’ Arcimboldo, silloge vegetale di vite attaccate al lumicino di flebo e speranze, figurine d’un conto troppo radicato, per esser svélto da colpo reciso di vento di retate e pentimenti, eppure. Eppure, c’è da condensare, riflettere e rigenerarsi, partendo da un semplice testo, romanzo e teatrale, per armarsi di costanza e riscatto: questo è il messaggio, il medium da veicolare. Il treno di Gomorra non si arresta, e allo spettatore non resta che salire a bordo. Rude e necessario, spettacolo che colpisce al volto. Da vedere.
(21 dicembre 2011)
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