Gino Rivieccio festeggia i trent’anni di carriera con “Un Gino per il mondo”, tuorbillon di frizzi, lazzi e parodie (pochi i premi e cotillons). Al Teatro Totò dal 23 febbraio al 4 marzo
Servizio di Marco Catizone
Napoli – Verve e mimesi sulfurea, il buon Rivieccio non perde il tocco atellano, di cetrulo capocomico, di vis satireggiante in mistura neapolitana; lustri e decadi che il Nostro affastella in bell’ordine, tra macchiette all’ “armandogill”, archetipi partenopei, cafè chantant e rivista a darsi lustro e pailettes, tra tocchi briosi e neo-comicità declinata sul do-re-ciak-gulp d’un Belpaese all’inciampo diuturno e rutilante (ed è pur vero che i Monti ci sorridono), in diacronico eloquio, tra cupio dissolvi e smargiassa risata: voilà! Ed il trompe l’oeil d’una satira mai greve, arrochita da fumisterie da cabaret e lontana dallo slapstick sincopato in media res da teleimbonitrice odierna, hard discount frenetico e bolso, inganna l’occhio, mai l’uditorio. Rivieccio ha stile, nevvero; livrea “nature” d’animale da palco, ego polimorfo che palpita e guizza, s’insinua con sicumera in rue già percorse, con brani e lacerti d’estrema perizia e tempistica; forse, se di pecca dobbiam cianciare, v’è un compiacimento egotimico e bozzettistico d’esser classico oramai, per sopravvivere a sé stesso, sciassa puntigliosa che va bene all’abbisogna: è il “Rivieccio-style” . Professionalità e garanzia, meccanismi oliati e ratta risata (e ben pasciuta) in conto alla platea; si dirà: forse poco, in tempi magri? Palingenesi; è clausola mai inserita nel sinallagma autoriale, tra comico e pubblico vibrante. Trait d’union, graffio riviecciano impresso a fuoco, forse che il pubblico di questo abbisogni, che son tempi tribolanti, spauriti e frusti, e la risata è contagiosa (a terapia); forse che la prognosi sia meno fausta, che sia d’uopo nuova linfa, rivoli stitici da istmo stllicida, ad alluvionare alveo per nuova stagione a fioritura; certo è, che il risiko del comico s’arrischia all’anàfora, al carsico bradisismo, alla descensione compita ed abulica, verso il conformismo da repetitio che non giova più a nessuno. Ai posteri, l’A(r)dua sententia, e ve ne son di ascari tra le coltri trapuntate: ma è pur vero che a stiracchiare coperta, da qualche lato si rimane al fianco scoperti. Rivieccio è mitragliere solerte, il flusso e la potenza di boutades e calembours non scemano per le due ore di spettacolo: il corricolo regge con brio l’andatura; il “Gino per lo mundo”, flogisticamente s’arroventa quando il capocomico ferma il barnum in quel di Neapoli, i cui topoi (per tacer di zoccole) e nervature scuotono e riscuoto successo e platea; s’imbarcano sciantose e comici giovani a rimorchio, col maestro che dalla buca regge i lacci e rende il là: il rendez vous è canosciuto, nessuna sorpresa, niuna delusione. Ammanca nuova linfa, sé detto, e qualche robusta intramuscolo di guitti politicanti destrorsi e mancini, fous da legare, meglio da leghisti, non abbasta di certo alla renovatio imperii (giacchè financo il Piccolo Nerone di Hardcore è dato per disperso). Ergo: promosso, il buon Rivieccio, ma con debito. Da pagare, sciaquando i panni in quel di Partenope, con abbondanza di scaglie di Marsglia (Vittorio) e decolorando il repertorio per nuova redingote arlecchina (e che non s’offenda Pulcinella).
(28 febbraio 2012)
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