Come nasce un disco
Intervista a La Maschera
con Vincenzo Capasso e
Roberto Colella
di Elena Lopresti
Venerdì
28 novembre 2014 alle ore 18.30 presso il Cinema Multisala
Modernissimo ci sarà lo showcase del disco "O vicol 'e l'alleria",
il primo lavoro discografico della band "La Maschera", i
cinque giovanissimi di Napoli Nord, che stanno commuovendo il
pubblico per la profondità dei testi e il fascino dei brani
musicali.
Siamo
stati con Vincenzo Capasso, tromba, e Roberto Colella, voce,
nello studio dell'etichetta discografica FullHeads per
conoscerli meglio.
Seduti
ad un caffè di piazza Dante, abbiamo parlato dei sogni e dei
progetti del gruppo, nato nel giugno 2013 dall'incontro trai due, e
di come nasce un brano....
La
Maschera, è la band che tu (Roberto) e Vincenzo avete composto,
come è iniziata la vostra esperienza?
La
nostra esperienza è nata in modo assolutamente casuale,
dall'incontro tra me (voce, chitarra e tastiera) e Vincenzo il
trombettista, un momento in cui scoprimmo l'un l'altro le nostre
capacità, che io scrivevo e lui suonava la tromba.
Ci
piacque il connubio, il nostro modo di scrivere e di suonare, per
cui decidemmo di mettere insieme qualcosa che è nato come un duo e
poi si è esteso, soprattutto perchè volevamo partecipare all'Agorà
jazz festival, che si teneva a Giugliano e si svolgeva due settimane
dopo il nostro incontro, per cui mettemmo su una band che è
composta da Marco Salvatore alla batteria, Alessandro Morlando alla
chitarra e Eliano Del Peschio al basso. Alla fine, grazie
all'associazione Illimitarte, partecipammo, con la voglia di
comunicare e far arrivare il nostro messaggio alla gente.
Per
noi fu un'esperienza ultrapositiva, perchè la risposta è stata
maggiore di ciò che ci aspettavamo, soprattutto per essere il
nostro primo live.
Le
persone capirono i nostri brani e si lasciarono coinvolgere e
trascinare dalla musica.
Per
noi è molto importante il rapporto con il pubblico e questo primo
feedback positivo è stato decisivo per prendere la scelta di
concentrare tutte le nostre energie in questo progetto.
Cosa
è cambiato nelle vostre vite da allora?
Io
(Roberto) ho lasciato l'università e anche Vincenzo veramente, una
decisione derivata dalla voglia di concentrarci con forza nel nostro
disegno.
Non
è stato semplice, ho rifiutato un Erasmus per questo... vedi, ad
esempio, si dice che non si è legati a Napoli e si vuole fuggire,
in realtà non è così: perchè ho lasciato perdere un Erasmus per
Praga, studiavo lingue straniere ( non napoletane, perchè quella è
un'altra lingua), decidendo di restare a Napoli e intraprendere
questa strada.
Una
strada tortuosissima, e “chin e fuoss”, che sto percorrendo
senza pentimenti, è stato un anno molto intenso. Sono scelte, se
fossi andato in Erasmus, e magari avessi continuato dopo questa
carriera di musicista, non avrei avuto la stessa freschezza di idee
e le stesse tematiche di cui scrivo nei testi, quindi è stato
giusto giocarsi questa carta adesso.
Come
avete trascorso questo primo anno vita della band?
Sono,
come gli altri ragazzi, soddisfattissimo di quello che stiamo
creando, abbiamo suonato molto e in posti diversi e abbiamo fatto e
sono sicuro che faremo ancora molta gavetta, come è giusto che sia
e anzi ben venga. Ma devo dire che ciò che poi ci ha regalato
più emozioni del lavoro che stiamo portando avanti, oltre
l'esibirsi e fare concerti, e l'aver potuto fare esperienze
dall'alto valore umano.
Abbiamo
raggiunto traguardi importanti, come il Meeting del Mare,
Musicultura, il primo maggio, live in cui, come dicevo prima, si è
instaurato un bel rapporto con il pubblico, uno scambio e questa è
una delle motivazioni che ci ha dato la spinta per continuare
in questa direzione e che ci fa sentire maggiormente appagati.
E
per quanto riguarda la registrazione del disco?
La
registrazione non era un evento da noi previsto o in programma, anzi
non avevamo creato pezzi appositi per un disco. Poi, abbiamo avuto
tante richieste sulla pagina Facebook di un cd, per cui alla fine
abbiamo deciso di racchiudere in un supporto questo momento.
Il
disco è una raccolta, una fotografia di ciò che siamo adesso, e
forse se non l'avessimo fatto avremmo perso questo spirito che poi
è caratteristico di un album che si chiama " O vicol 'e l'alleria",
un titolo che racchiude molti significati.
è
stata fatta una scelta per quanto riguarda i testi quindi di tenerne
alcuni ed eliminarne altri e ora
possiamo dirci molto
soddisfatti di aver registrato in un periodo in cui la discografia
sta “mocc o can”, (scrivi,scrivi).
Poi
all'inizio eravamo contro le etichette e avevamo l'idea di un disco
autoprodotto, senza conoscere tutto quello che c'è dietro, e invece
abbiamo trovato nella FullHeads, l'etichetta di Luciano Chirico, una
squadra solida. Oltre ad essere persone competenti e professionali,
sono, a mio avviso, persone dall'alto valore umano, che è la cosa
che fa la differenza oggi, ed a noi fa particolarmente piacere.
Come
raccontavi prima, avete iniziato facendo molta gavetta, quindi
partendo dai luoghi delle vostre origini, quanto siete legati al
vostro territorio?
Parecchio.
Siamo molto legati al nostro territorio. Anche perchè, credimi, il
territorio influisce tantissimo nell'arte. Le nostre canzoni
raccontano storie di vita abbastanza comuni e semplici e cerchiamo
l'immediatezza più assoluta nell'esporre i messaggi. Perchè questo
senso di adattamento, di dover dire più cose in poco tempo, è dato
proprio dalla terra da cui proveniamo: da 'sto fatto che a Napoli
“se va 'e press”, si corre, e quindi stando dietro a Napoli e
correndo insieme a lei, dobbiamo dire cose nel modo più diretto
possibile e arrivare dritti al punto. E infondo, oltre al rapporto
con la terra, a noi piace essere legati cioè stare con
i piedi proprio sulla terra, camminarci, e quindi cantare
tutte quelle storie che sono la caratterizzano, che sono la signora
del vascio, il vecchiarello che sta andando in chiesa, magari a
confessarsi, oppure un pulcinella che sembra rassegnato, ma in realtà
comunque nutre un forte senso di speranza, quindi in questo senso il
legame con la terra c'è ed è fortissimo.
In
"Amarcord", ad esempio, si parla di una storia di ricordi
di una persona che se ne è andata da Napoli, che però comunque
mantiene le sue radici qua. In
qualche modo ha questo "Amarcord", che poi è proprio
questo flusso di ricordi che comunque lo porta qua, nonostante
lui sia lontano, torna qua.
Penso in questo c'è tutto il legame con Napoli.
"
So semp stat cca" è un altro brano in cui si evince questa
cosa, ovvero, questo
personaggio, sta fuori ad un balcone con una chitarra, sperando
soltanto che la musica arrivi alle persone che lo ascoltano, quindi
dice:
"vuless
che sta musica arriva a te 'cca staij luntan, ma sott sott a piens
comm a me, cant sti due parol 'cca speranz ca nun mor", (te
la devo cantare perchè è importante),
e
sottolinea quest'aspetto
del legame con la terra, perchè, nonostante lui
viaggi con il pensiero, perchè con la mente si perde verso
varie stazioni, ad un certo punto si ferma perchè un ragazzo gli
chiede indicazioni e mentre gli parla si rende conto anch'egli di
essersi perso e quindi dice: "so
semp stat 'cca”, non mi sono mai mosso, non ho mai lasciato questo
balcone, questo scenario, e quel ragazzo che mi ha fermato è la mia
coscienza infondo", questo è il senso.
I
vostri testi si rivolgono ad un pubblico napoletano?
Si,
ma anche no in realtà, sono rivolti un po’ a tutti. Rivolgendoci
a Napoli ci rivolgiamo nella stessa maniera all'Italia, Pullecenella
è una maschera di Acerra, però
questo non vuol dire che la mentalità di questa non
sia caratteristica di tutte le persone che vivono in Italia, perchè
forse se “stamm int a 'sta condizion” e anche perchè chi ci
governa è un po’ Pulcinella.
Questo
per dire che si, i testi sono rivolti ad un pubblico napoletano, però,
c'è un'apertura verso
il resto. Parlano di situazioni quotidiane e quindi Napoli come
lente di ingrandimento dell'Italia, ma ciò non vuol dire che le
cose non accadano altrove anzi, secondo me, succede pure peggio però
non te lo fanno sapere, questa è la realtà. L'amarcord penso che
lo abbia un napoletano come un bolognese che sene va da Bologna e
poi torna e dice o
quant' è bella l'addore della polenta, però chiaramente il
riferimento più esplicito è quello che ti porta a Napoli alla
fine.
Pulcinella
è una figura molto emblematica per voi...
Per
noi ha un significato molto importante e particolare, forse anche
celato...
Chi
ascolta la canzone "Pullecenella", sente la gioia
trasmessa proprio dalla musica, che è festosa:
c’è il flauto che fa quasi una tarantella e fa venire
voglia di ballare..
Ma
le parole che Pulcinella pronuncia sono abbastanza negative, è una
figura ambigua che incarna tutti i mali e quei valori che stanno
portando Napoli alla distruzione, e nello stesso tempo
è un uomo viscerale, in tutto quello che fa, anche nel modo
di camminare.
Lui
affonda, perchè il suo legame con la terra è così forte da
esserne richiamato con tutto il corpo e la maschera che porta sul
volto, in realtà, è una voglia della madre, che, prima che
nascesse, si strofinava con la cenere, c'è un forte richiamo al
fuoco e sensazioni che riconducono ancora alla terra.
Ma
invece di costruire il futuro, il Pulcinella della canzone è un
individuo solo, che agisce contro la collettività, ed a scapito
dell'azione collettiva che viene annullata dal suo egoismo, è il
singolo che pensa solo a se stesso e dice : " è cos 'e nient,
ij me ne vac pa strada mij, si vien 'ccu me, te port rint o vicol 'e
l'alleria", un non luogo immaginario dove tutti stanno bene e
se ne fregano dei problemi.
Questa
è una delle cose più gravi, che nonostante la crisi sia di tutti,
ti fa dire: "no ma ij teng o pan a tavola, stong appost",
ma in realtà il problema che ci accomuna è enorme. Ti senti libero
di ballare, di zompettare ma dobbiamo imparare a dare agli altri.
Ma
è anche vero che
Pulcinella è l'unico che ti sa portare nel vicolo dell'Allegria...
Esatto.
Assolutamente, e questo è grave!
Perchè
Pulcinella, nella sua negatività ha il potere di portarti in un
luogo che è spensierato, si sta bene in questo vicolo
dell'Allegria.
Sono
tutti così accecati, da non vedere il male, e hanno quasi scuorno
di ammettersi Pulcinella, perchè in fondo lo sono...ma alla fine
stanno lontani da questo vicolo che dunque non esiste ancora.
Quanto
conta la maschera sociale?
E’
il motivo per cui il nostro gruppo si chiama La Maschera, quella
indossata da tutti e che dovremmo cercare di togliere in qualche
modo, oppure, di frapporre le parole e la musica tra la pelle e la
maschera.
E
quando si scrive questo è un processo importantissimo, raramente ci
denudiamo. Pulcinella
invece è vero, ha la maschera ma è lui, nella sua finzione e
teatralità.
Parlaci
di “fujetenne”
Questo
brano è un'allegoria, è composto da sei sette versi che si
ripetono ed è stato scritto per un'esperienza di vita.
Per
la questione dell'Erasmus, perchè io pensavo: fujetenne, ma infondo
a che serve, vuoi o non vuoi le cose che ti porti dietro sono
un'ombra che parte dai piedi e anche se sei girato di spalle
c'è sempre.
Sai
che dentro di te, se non ti fai un esame di coscienza, e capisci
qual è quest'ombra che ti porti dietro,
resta sempre là. Quando c'è il sole e sei spensierato c'è
l'ombra e non te ne curi, però la chiave di svolta
è una scelta soggettiva.
Se
un problema lo hai, fuggire non serve a niente,
perchè ti stai portando un problema che non appartiene alla
città ma a te, quindi puoi cercare di risolvere le cose fuggendo ma
te le stai portando tu “appresso” (dietro).
E
del brano "O marenaro" in cui canti il mare?
Il
nostro è un modo di cantare il mare un po’ strano, perchè si
parla di terra in realtà.
Il
marinaio canta il mare da quasi da una nave ferma al porto e i porti
in questo caso vanno intesi come le tappe della vita in generale.
Le
onde di questo mare enorme che ti
sbattono da una parte all'altra e
dove credevi di aver trovato
rifugio (la nave), in quest'immensità, ti accorgi di aver
perso la libertà.
E
il marinaio pensa: " ma come io sto a mare ( la libertà)
però non lo tocco mai".
Ci
troviamo spesso a fare delle cose per poi renderci conto di non
affrontarle mai realmente, non ci entriamo mai veramente dentro.
In
questo caso il mariano non
entra mai nel mare, ci passa sempre sopra.
La
nave è una gabbia, che si può intendere sia come posto che ti
porta verso la libertà sia come prigione che ti sta sbattendo da un
posto all'altro.
E
oggi è inevitabile sentirsi marinai,
penso il 98 per cento delle persone sulla faccia della terra fanno
un lavoro di cui sono insoddisfatte: è difficile trovare una
persona che è contenta di fare ciò che fa, c'è il dentista che fa
il musicista, l'attore che voleva essere medico, e alla fine ti
trovi sempre su una nave in gabbia, in cui stai bene però non stai
nel mare dove vorresti stare.
Qual
è il modo per sentirsi
liberi?
Tuffarsi,
è l'unica strada per arrivare al mare, chiudere gli occhi e
buttarsi a capofitto nella cosa che più ami, in questo caso il
mare.
L'unica
via saggia è avere il coraggio di intraprendere una strada di cui
si è soddisfatti, altrimenti la vita diventa una condanna.
Oggi
siamo schiavi in tutto, anche del cellulare che stai mantenendo e
neanche io sono super partes. I
rapporti umani si basano sui social network,
che, comunque
sono una realtà, e va
affrontata come tale.
Però
alla fine è una struttura in cui si è ingabbiati, come il lavoro.
Non
esiste più il pezzo di terra che coltivi e grazie a cui mangi, ma
devi pagare tutte bollette.
Sono
tutte strutture, poi ci stanno le sovrastrutture, le maschere e poi
forse ci sta quel piccolo momento della tua vita in cui puoi fare
quello che ti piace, quindi conviene sfruttare quel momento e farlo
diventare il più grande possibile.
C'è
un brano molto significativo che è "La confessione",
in cui sembra che l'unico modo per espiare i propri peccati
sia quello di raccontarli a qualcun altro...
La
confessione è un'accusa nei confronti di chi punta il dito contro
gli altri.
Il
prete è una figura inventata che
non fa altro che raccontare le cose perchè è incredulo.
Come
una “capera” napoletana rivela tutti i peccati che ha sentito.
All'inizio
sono cose abbastanza semplici, poi,
diventano sempre più gravi fino al punto che lui urla
stravolto e si rende
contro di essere uomo anche lui.
Questa
è una delle sue scoperte grandi e da lì inizia a raccontare i suoi
peccati.
E
da figura super partes e
ultraterrena si veste d'amore terreno.
Si
rivela innamorato di Rosa,
il suo amore adolescenziale, dopo 20 anni ne è
ancora
innamorato, e quindi la stringe, ma non troppo, perchè non si
lascia intendere nel peccato.
Ma
dice: "si pe vuje song o giudice “e Dio qualche peccato lo
faccio pure io": se voi mi ritenete diverso dagli altri in
realtà, non lo sono, qualche peccato lo faccio anche io, anche se
piccolo.
Non
è questione di peccati, ma di uguaglianza, non esiste chi sta al di
sopra e forse neanche le
regole esistono.
Qual
è la soluzione per
trovare il modo di comunicare con gli altri?
L'immediatezza,
perchè la gente è cosi sfinita e rassegnata
in questo momento che non ha voglia di mettersi là e capire
“tu cosa c'è vo ricer”.
Non
c'è proprio la predisposizione
all' ascolto.
E
quindi conta la semplicità di un messaggio, e se riesci a dire una
cosa complessa in modo semplice ancora meglio, perchè, stai dando
un qualcosa di buono che le persone possono condividere
in poco tempo.
Questa
è la scelta per cui noi cantiamo in napoletano, perchè in questo
momento c'era l'esigenza di comunicare nel modo più immediato
possibile.
E
il napoletano è una lingua immensa e non è vero che non è
capita, noi siamo stati a Musicultura a Macerata, un posto dove
credevamo che non ci avrebbero mai capiti. Ci siamo posti il
problema di italianizzare i brani,
invece, l'abbiamo suonato in napoletano
e tutti ci hanno
fatto i complimenti per i testi : abbiamo avuto la conferma che a
cinquecento km da Napoli capiscono perfettamente il messaggio che
trasmetti attraverso la musica.
Non
ci scordiamo che Pino Daniele ha
fatto a Zurigo
il suo concerto più grande, e la canzone più famosa al
mondo è "o sole mio", ed è tutta in napoletano.
Il
debutto del 28 novembre
sarà un tuffo?
E’
un tuffo a tutti gli effetti, ma
è un tuffo fatto con il sorriso.
Ciò
che abbiamo da dire è nel disco e noi lo affrontiamo nella maniera
più serena possibile quindi con amore
Un
tuffo, però sereno e consapevole.
Inoltre
il 28 verrà presentato il videoclip della "Confessione"
che abbiamo avuto il piacere e l'onore di girare con Massimo Andrei,
un attore di spessore, che ci ha fatto emozionare davvero tanto
durante le riprese.
Spero
che arrivi la stessa emozione che abbiamo provato anche in minima
parte.
è
stata un'impresa, un compito arduo per Dario Calise, il regista, e
spero che vi piaccia e che vi facciate trasportare da questa
sceneggiatura, un teatro ricreato che lascia intendere che tutte le
scene che racconta il prete possono essere benissimo delle parti
recitate da un attore, racchiuse
nel suo camerino, inteso come stato d'animo e come personalità
e che spero si
colga questa chiave di lettura.
La
nostra musica nasce dall'esigenza di comunicare, suonare ci emoziona
e ci fa stare bene e speriamo di poter condividere con il pubblico
del 28 novembre un momento di allegria.
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