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PIZZA E PALLONE
di
Umberto Franzese
Napule
è campione d’’a pizza e d’’o pallone!
P & P. Pizza e Pallone. Nessuno ci supera.
Pizzerie
stipate fino all’inverosimile: per trovare posto devi metterti in
fila e aspettare il tuo turno.
Stadio
stracolmo: tifosi come in nessuna altra parte del mondo, petto in
fuori e urla debordanti.
Pizza,
“nome volgare di una vivanda tutta napoletana”, deriverebbe,
secondo Alfredo Panzini dal latino pistus, da cui pistores, pistura,
pinsere, pestare, schiacciare e, quindi, schiacciata. E da qui,
sempre secondo il purista Panzini, viene fuori pizzeria, esercizio
in cui si prepara e si mangia la pizza. Salvatore Di Giacomo usava
la forma “pizzaria”, che dà tanto il senso, scomponendola in
due tronconi, pizza-ria, di pizza - cattiva. Tale uso dovrebbe dar
luogo anche a: pizzicaria per pizzicheria; pasticciaria per
pasticceria; facacciaria per focacceria. Comunque sia,
quell’impasto di farina, tondeggiante, schiacciato, chiamato
altrove focaccia, è soltanto dopo la Seconda guerra mondiale, che
da Napoli, si espanderà oltre confine raggiungendo le Americhe. Ed
è proprio grazie alla guerra, con la farina proveniente
dall’America, che riaprono le pizzerie napoletane a Port’Alba,
ai Tribunali, a S. Chiara, alla Duchesca, alla Pignasecca. Il poeta
Peppe Cicala, in Napoli USAta, spettacolo cabaret messo in scena al
Pruneto Club di Posillipo nel 1969 dal Teatro dei Sordi, canta: E’
crisceto ‘e pasta\ ca cresce int’’e mmane,\ ca ncopp’’o
bbancone\ se posa, s’avota, se sbatte, se stenne\ cchiù tunno e
cchiù ghianco…\ Chest’’è, punto e basta!\ Ajere ll’he
avuta e ‘a vuò n’ata vota? La pizza, prima napoletana, poi
italiana, è patrimonio di tutti. In suo nome, a Napoli, si svolge,
ogni anno, l’ Olimpiade della pizza: pizzaioli di tutto il mondo
in congresso.
Nell’anno
di grazia 1807 esistevano a Napoli 55 pizzerie, quante ne conta oggi
la città? Un’infinità: ognuna delle quali vanta una sua
specialità.
Il
pallone (dire calcio a
Napoli è uso improprio) assume forme partecipative e spettacolari a
partire dagli “anni venti”. Durante gli “Anni Trenta, intanto,
tale disciplina acquistò ampia popolarità, superando lo sport
principe osannato dagli Italiani: il ciclismo.
In
quegli anni nacquero i primi gruppi di tifosi al seguito della loro
squadra, i primi periodici diretti dai maggiori giornalisti
sportivi, si diffusero sugli spalti le prime forme di folklore e i
primi fuochi di acceso tifo oltre misura. Si costruirono grandi
stadi a Roma, Firenze, Bologna, Palermo. Napoli ebbe nel 1934,
a tambur battente, lo stadio Ascarelli con una capienza di
ben 40 mila spettatori.
Ma
è allo stadio S. Paolo, il 10 maggio 1987, alla presenza di 85 mila
spettatori, che il Napoli di Diego Armando Maradona, si laurea per
la prima volta, dopo sessant’anni, campione d’Italia.
“Cosa
fatta capo ha”: Pizza e Pallone! E tu vulive ‘a pizza? Voglio
‘a pizza e ‘o pallone!
Pizza
e pallone: sono dunque questi i bisogni peculiari comuni a tutti i
napoletani?
Queste
le sole opportunità per raggiungere i propri fini? E’ questo e
solo questo l’insieme di credenze, di valori, di norme che
costituiscono il substrato della cultura implicita ed esplicita del
popolo di Napoli? Altro non c’è? Nessuna altra aspettativa? Idee,
conoscenze, fede, superstizioni, miti, leggende non fanno parte,
esse pure, di un ricco patrimonio tipicamente nostrano? Non c’è
altro che è “desiderabile?”. Non c’è altro “bene?”.
Non
ci sono altri “valori” da condividere? Per il benessere di
qualsiasi comunità ci sono da spartire usanze e costumi. I
costumi sono strettamente correlati ai valori di una società. Non
possiamo e non dobbiamo staccarcene. Difensori della pizza e del
pallone, sì, ma anche portatori di antiche virtù, ma anche
creatori di nuovi beni e mutamenti culturali producendo innovazioni
e rapporti partecipativi.
Per
una corretta partecipazione alla vita attiva conviene, sforzandoci,
riscoprire nuovi valori raccordandoli alla nostra identità con il
rigore del consolidamento. Siamo seduti sulle spalle di giganti che
ci sostengono e ci innalzano. Scuotiamoci, agiamo, non più entità
passive, astratte, ma soggetti mobili, attivi.
Se
dovrà essere il pallone o meglio lo sport la molla, allora sia esso
indice della svolta. Sport attivo e non passivo. Volontà di ciascun
individuo di superare qualsiasi ostacolo, qualsiasi avversità. Lo
sport attivo contribuisce al perfezionamento umano sotto il punto di
vista fisico, intellettuale e morale: l’elemento fisico, ovvero
l’azione muscolare; l’elemento intellettuale, ovvero, la
conoscenza dell’azione; l’elemento morale, ovvero l’atto che
determina l’azione. Con la pratica dello sport si sviluppa la
robustezza, l’agilità, ma
soprattutto il controllo della volontà e l’esercizio della
disciplina.
Lo
sport, allora, come affermazione delle proprie capacità, delle
proprie abilità e attitudini con vigorose affermazioni. La pratica
della cultura fisica è
un mezzo per la crescita e il potenziamento energetico muscolare e
psichico.
Se
dovrà essere la pizza che pure rappresenta un cospicuo spaccato di
Napoli, un unicum che attraversa l’intero arco di tempo che va dal
Settecento ai giorni nostri, essa è il segno della laboriosità,
dell’operosità, della diligente fatica di protagonisti della
nostra storia sociale.
Una
storia che racconta di figure di primo piano, di stacanovisti, di
operai della industria navale, della produzione del guanto, di
quella calzaturiera, del mobile, del rame, della porcellana, del
vetro, Lavori che hanno attribuito alla creatività di intere
generazioni, un ruolo di primo piano nelle puntigliose vicende del
quotidiano progredire.
Se
vale sapere chi siamo e donde veniamo, vale anche, più che il
“piacere”, curarsi del “dovere”.
Amare
il “bello”, ma superarlo per non rischiare di restare dei
“legnosi contemplativi”.
Bisogna
acquistare coscienza delle nostre identità, ma non per mero
esercizio nostalgico. Essere protagonisti, autori delle nostre
azioni, delle nostre decisioni, del nostro fare. La nostra ricerca
deve essere improntata a tenere assieme come in un “assemblage”
tutte le componenti, tutti i pezzi del nostro “essere”.
Puntigliosamente legati al nostro territorio, alla nostra comunità
della quale siamo parte integrante e viva. Le
storie personali non devono costituire limite all’indolenza né
all’incertezza. Usare il passato, sì, ma per rafforzare il
presente. Anche i “gesti”, soprattutto nello sport, acquistano
un valore emblematico e una forte carica propulsiva. Dobbiamo avere
indissolubilmente la coscienza e l’orgoglio della napoletanità.
Quella carica di napoletanità che troviamo anche nella pizza e nel
pallone.
Napoliontheroad
17 aprile 2013
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