Barra dopo l’Unità e il fenomeno del Risanamento.
“Il rettifilo barrese” del Sindaco Mastellone e dell’ing. Cozzolino
di Marco Ferruzzi
Dall’Unità
d’Italia sino alla legge di riforma elettorale del 1882, la legge
Zanardelli, promossa dal Governo di
Agostino
Depretis, i sindaci italiani furono eletti con nomina governativa,
ed erano affiancati dai consigli
comunali
eletti dal popolo. I primi sindaci alla guida del Comune di Barra
furono: Giuseppe Parracuollo
(1866
– 1869), Tommaso Fasano (1869 -1872), Alfonso Picena (1872 –
1876), Giuseppe Verolino (1876 -
1879)
e Giovanni Mastellone (1879 - 1882). Con l’entrata in vigore della
legge Zanardelli, cambia il sistema
elettorale.
I sindaci non vengono più eletti con nomina governativa, ma vengono
eletti direttamente dal
popolo
ed il loro mandato passa da triennale a quadriennale.
Il
primo sindaco di Barra, eletto con il nuovo sistema, fu Luigi
Martucci in carica dal 13 Novembre del 1882
al
30 Novembre del 1886. Fu proprio il sindaco Martucci a dover
fronteggiare la drammatica epidemia di
colera
del 1884. Dopo la prima drammatica ondata di epidemia del 1837, il
colera tornò nel 1854 e dopo
l’Unità
si ebbero altre esplosioni epidemiche nel triennio 1865 – 1867 e
nel 1873; ma fu l’epidemia del 1884
la
più grave, quella che portò Napoli al centro dell’attenzione
nazionale.
L’epidemia
del 1884 infierì sulla città da metà agosto a metà novembre
facendo registrare un altissimo
tasso
di mortalità nei quartieri più popolari di Porto, Mercato, Pendino
e Vicaria e nei piccoli comuni
limitrofi
come quello di Barra. L’allora governo Depretis prese atto delle
pessime condizioni igieniche della
città,
della non potabilità delle acque, della precarietà del sistema
fognario ancora basato sull’utilizzo dei
pozzi
neri e della mancanza di un vero e proprio sistema sanitario. A
seguito della tragedia del 1884 il re
Umberto
I e il capo del Governo Agostino Depretis visitarono la città e
giunsero alla conclusione che era
necessario
un ampio intervento di risanamento. In quell’occasione Depretisi
pronunciò la famosa
espressione
“bisogna sventrare Napoli”. Cosi il 15 gennaio del 1885,
a solo un anno dalla manifestazione
dell’epidemia,
il Governo Italiano approvò un’apposita legge “per il
risanamento di Napoli”.
I
lavori, tra rinvii e scandali iniziarono solo nel 1899 e
proseguirono sino alla vigilia della I Guerra Mondiale
nel
1913. Nelle intenzioni del Sindaco di Napoli Nicola Amore e della
sua giunta si sarebbe dovuta
bonificare
l’area orientale della città, ancora parzialmente paludosa. In
quest’area si sarebbe dovuto
costruire
un nuovo quartiere operaio per accogliere gli abitanti dei vecchi
quartieri di Porto, Mercato,
Pendino
e Vicaria, oggetti dell’intervento di risanamento.
Scrive
il Sindaco : “Vi sarà una
strada ampia, bellissima, ombreggiata ed ossigenata da piantagioni
che
correrà
intorno al nuovo quartiere e così siamo sicuri che non sarà un
quartiere morto!”
La
Storia ci ha raccontato un'altra vicenda. Il progetto approvato
prevedeva la realizzazione del Corso
Umberto
I il famoso “rettifilo” che, sventrando i vecchi quartieri,
giungeva fino alla Stazione Centrale, la
edificazione
contemporanea di case e la risoluzione dei problemi dell’acqua
potabile e del sistema fognario.
La
Società del Risanamento, costituita proprio per avviare e gestire
il piano di risanamento in città, aveva,
ovviamente,
poco interesse a provvedere all’edificazione di case popolari o
alla bonifica delle aree orientali,
era
più interessata a far cassa, realizzando case che potevano essere
vendute a un costo più alto, non certo
le
case popolari. Le classi popolari, perse le proprie abitazioni, non
poterono far altro che affollare le aree
degradate
superstiti all’operazione di risanamento. Come denunciò la
scrittrice e giornalista Matilde Serao,
il
rettifilo fini per essere un bel paravento dietro cui si riproposero
gli stessi problemi di prima, anzi
aggravati
dal fatto che l’intervento di risanamento aveva ridotto gli spazi
e “dove prima erano 8 persone,
ora
sono 10”.
A
conferma di quanto denunciato dalla Serao, solo pochi anni dopo, nel
1910, tornò il colera.
Ritornando
alle vicende del Comune di Barra, fondamentale fu l’intervento del
cav. Giovanni Mastellone dei
duchi
di Limatola. Questi, già Sindaco nel periodo 1879 – 1882, succede
a Luigi Martucci e viene rieletto a
ricoprire
la carica Sindaco per due mandati consecutivi. Il sindaco Mastellone
che già nel corso del suo
primo
mandato aveva provveduto al miglioramento del Corso Sirena e delle
strade afferenti, avvia un
importante
opera di bonifica. Tale operazione poté svilupparsi proprio grazie
alla legge Nazionale per il
“risanamento
della città di Napoli” e alla stabilità politica nazionale
garantita dal Governo Crispi, succeduto
a
quello Depretis.
In
analogia a quanto verificatosi nella vicina Napoli, Mastellone
pianifica un importante intervento di
risanamento
urbano affidandone la progettazione e i lavori all’ing. Pasquale
Cozzolino che progetta quello
che
lui stesso definisce il “rettifilo barrese”. L’intervento del
Cozzolino si basa sulla realizzazione di due
importanti
arterie tra loro ortogonali, Via Vittorio Emanuele II e Corso
Spinelli, che si ricollegano con la
strada
costiera “delle Calabrie” in San Giovanni a Teduccio, l’attuale
corso san Giovanni. Oggi le due arterie
hanno
assunto rispettivamente i nomi di Corso Bruno Buozzi e Corso IV
Novembre. L’asse viario di Corso
Bruno
Buozzi si sviluppa parallelamente all’antico tracciato del Corso
Sirena e si presenta, sull’esempio del
Corso
Umberto I a Napoli, come un ampia strada rettilinea collegata all’antico
asse del Corso Sirena da una
serie
di strade ortogonali, comprese nell’intervento dell’ingegnere;
le attuali Via Domenico Minichino e Via
Spinelli
e soprattutto grazie all’apertura della Piazza oggi dedicata al
giurista Vincenzo De Franchis.

In
occasione dell’inizio dei lavori di risanamento il 1 Novembre del
1889, l’ingegnere Cozzolino pubblica un
libro
“La Barra e sue origini
(Nella Napoli suburbana)”, qui si legge :
”Con
i lavori di bonificamento , che in questo dì si inaugurano sotto il
3° e non meno operoso Sindacato del
distinto
cav. Giovanni Mastellone si migliorerà ancor più la già buon’aria
dell’abitato Villa Sireni, costituito
sempre,
fin dai primordi da case agricole in gran parte, venute su alla
rinfusa ed a misura che le richieste
incalzavano,
durante e dopo le sudate conquiste del padulanum. Con la strada per
S. Giovanni, anche
prossima
ad aprirsi si darà un eccellente arteria di accesso a tutto il
ridente abitato. Quando questo avrà
completato
a poco a poco lo intero sviluppo, dall’autore anche ideato, allora
si che, potrebbe pure svestirsi
del
suo nome insignificante Barra e ribattezzarsi di bel nuovo, nella
totalità delle due riunite università, col
nome
di Sirena e di Sirena Vesuviana.”
Il
Cozzolino, quindi , conclude il suo lavoro con la proposta di
cambiare il nome al Comune scegliendone
uno
che ne rievochi le origini legate alla fusione degli antichi casali.
L’impostazione data dall’ingegnere
Cozzolino
guiderà lo sviluppo urbanistico del primo dopoguerra del comune.
Esaminando le cartografie
degli
anni 20 possiamo notare la presenza di una ampia zona verde a
carattere agricolo tra i comuni di
Barra
e san Giovanni; zona che pian piano scompare lasciando il posto alle
nuove costruzioni favorite
appunto
dal piano di risanamento di Mastellone e Cozzolino.

Nello
scritto del Cozzolino trapela un fervido entusiasmo di stampo
positivistico, entusiasmo che era
proprio
anche della classe borghese liberale. In realtà però, quella
borghesia non poteva andare oltre i limiti
dei
propri interessi economici e culturali, sicché l’intervento di
sventramento di Barra non sortì effetti
migliori
di quello di Napoli. I due corsi , il corso Bruno Buozzi e il corso
IV Novembre non solo non avevano
nulla
a che fare con le più malsane abitazioni del Corso Sirena, quello
che avrebbe dovuto essere oggetto
dell’intervento,
ma andavano anche a toccare terreni agricoli di gran pregio, con
orti e giardini che erano
stati
fino ad allora fonte di lavoro e di aria salubre per tutti i
cittadini. Inoltre, lungo i nuovi tracciati si
insediarono
famiglie appartenenti al ceto borghese e non le povere famiglie che
occupavano le case
degradate
del centro storico. Si evidenziò cosi, anche urbanisticamente, il
crescente divario tra il nuovo
ceto
borghese dominante, le tradizionali famiglie contadine e i primi
operai della nascente industria.
In
sostanza dopo gli interventi di risanamento, le famiglie, private
dei propri terreni e incapaci di pagare i
fitti
troppo alti delle nuove abitazioni costruite lungo i nuovi assi
viari, finirono con l’affollare il già
congestionato
e degradato centro storico.
Tutti
gli errori che si erano verificati nell’operazione del Risanamento
napoletano si ripeterono anche a
Barra.
A Napoli coma a Barra si verifica ciò che già trent’anni prima
aveva osservato Fredrich Engels nei suoi
articoli
per il giornale tedesco Volks Staat tra il 1872 e il 1873; in
pratica scrive Engels che la borghesia
risolveva
la questione delle abitazioni in modo che questa si ripresentasse
nuovamente in un altro luogo.
“Cosi
purtroppo, - scrive la Serao – tutte le grandi idee dei grandi
uomini, tutti i vasti progetti a base di
milioni
….. hanno fatto fiasco”.
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