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Teatro
Nuovo – Stagione 2015 – 2016
Napucalisse
(oratorio
in lettura)
Mimmo
Borrelli (Napoli, 7 maggio 1979) – drammaturgo, attore e
regista teatrale italiano – si
avvicinò giovanissimo alla scrittura creativa guidato del
suo professore di italiano e latino, Ernesto Salemme, fratello del
commediografo Vincenzo Salemme. Attirato molto presto dal teatro, a
15 anni si iscrisse ad una scuola di drammaturgia per poi entrare più
tardi nella compagnia del regista Nello Mascia, frequentare per un
anno l'Accademia di Teatro di Napoli diretta da Antonio
Ferrante e Marzio Onorato, entrare a far parte della Compagnia
degli Sbuffi di Castellammare di Stabia. In giro per teatri
colse i tanti aspetti della tradizione popolare italiana che hanno
fortemente influenzato la sua scrittura, un misto di dialetti
dell'area dei Campi Flegrei – soprattutto di Bacoli, Torregaveta e
Monte di Procida – rivisitati in chiave poetica e drammaturgica.

Ecco
in sintesi la sua produzione: (2003–2005) 'Nzularchia,
regia di Carlo Cerciello, interprete il napoletano Pippo Cangiano,
Premi Riccione e Gassman; (2007)
Il verso dell'acqua, regia di Davide Iodice; (2007) 'A
Sciaveca, regia di Davide Iodice, Premi
Tondelli, Nike, Girulà; (2010) La
Madre: 'i figlie so' piezze 'i sfaccimma, rivisitazione del
mito di Medea, prodotto dal Teatro Mercadante, sua regia, Premi
Testori, Nike, Landieri; (2012) Napucalisse
opera-oratorio al Teatro San Carlo, musicata dal compositore Giorgio
Battistelli; (2014) Opera
Pezzentella, prodotta dal Teatro Stabile di Napoli e
rappresentata nella Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio
ad Arco; (2015) Sanghenapule
in collaborazione con Roberto Saviano, nella rassegna 2015/2016 del
Piccolo Teatro di Milano.

Quest’anno
Borrelli ha inaugurato la stagione 2015–2016 del Teatro Nuovo, da
mercoledì 11 a domenica 15 novembre, con una nuova Napucalisse
definita “oratorio in lettura” perché – utilizzando un leggìo come
unico oggetto concreto in scena, per una recitazione che, intesa
come una preghiera, lo trasfigura nella parola e nel gesto di tutto
il corpo – si fa solitario narratore di leggende lontane, radicate
nella memoria di vecchi ormai scomparsi. Si serve come al solito di
due sue specialità inconfondibili: la voce, inizialmente chiara e
garbata, ma che presto, coerentemente con ciò che narra, si fa
inquieta, possente, urlata, rabbiosa, insolente, violenta; il
linguaggio, introduttivamente in perfetto italiano, qua e là
costellato di vocaboli dialettali etimologicamente incredibili,
introvabili nei dizionari, in una sequenza sempre più accelerata
che diventa presto un fiume di sillabe di vocaboli diversi che si
fondono fra loro, un gioco ritmicamente anche divertente, ma allo
spettatore ignaro quasi completamente incomprensibile. Ogni tanto
compaiono le pause per prendere fiato e – com’è buona
consuetudine di ogni consumato istrione – per cogliere
l’applauso del pubblico. Quindi c’è una ripresa nuovamente
meditata che poi s’avvia per una nuova vampata di parole
gradualmente urlate ed accelerate che diventano invettiva,
aggressione, bestemmia. L’oscillazione della voce e del testo fra
la calma del racconto pacato e l’esplosione dell’ira
incontrollata è perfettamente in linea con la favola bugiarda che
Borrelli racconta e che, dice, potrebbe anche essere vera.

Il
protagonista della narrazione è il Vesuvio che – sulla scorta dei
miti pagani – viene generato dalla caduta sulla terra e dallo
sprofondamento in essa, alle pendici del monte Somma, di Lucifero,
l’angelo bellissimo fortemente amato da Dio e da Dio stesso, al
colmo dell’ira, scaraventato fuori dal paradiso per averne
scoperto l’insubordinazione al suo volere e l’inclinazione a
diventare l’artefice del male. Con la sua mole e le sue propaggini
quasi incombenti sulla costa e sul mare, il Vesuvio è il gigante
che sovrasta Napoli. Qualunque riassunto del testo letto e recitato
da Borrelli non renderebbe appieno la singolarità delle sue idee e
delle sue espressioni. Ne riporto perciò qualche brano
integralmente.
“Il Vesuvio è un vulcano dormiente, che sogna nel pericolo costante, ma
destinato periodicamente a svegliarsi. Dorme e veglia, prepara la
veglia, prepara le casse di un funerale già programmato in tutti
particolari, ma con l'ipocrisia della fertilità, della bellezza
apparente della superficie dei paesaggi dell'abbondanza. Il Vesuvio
è il doppio, come in teatro la sua visione è moltiplicata dai
vettori sensoriali di chi lo interpreta e da chi lo ascolta. Il
Vesuvio quando dorme accumula, accumula collera, violenza,
indignazione, esplosione di morte che rinasce nella fertilità della
terra e della vita. Il Vesuvio è il vulcano di Napoli. Il Vesuvio
è Napoli: : è il suo bilanciere d'orato di cocaina, il termometro
nel culo di chi ha una febbre che non guarisce mai, lo specchio che
si spacca ferendo a morte, in sangue di sacrificio necessario alla
creazione, per poi ricomporsi da capo col nostro sangue, che a
differenza di quello di S. Gennaro è "ghiarzd', arso, scottato
nel suo indotto ribollire.”

“Il vulcano è anche un creatore, generatore, è una "vammana",
una levatrice di bastardi, una nutrice di esposti, di orfani
dell'anima, dal quale nasce ogni cosa. Dunque
è Dio, concretizzazione cinica, poiché senza l'effigiata ¡conografica
rappresentazione, in terra, della creazione, Dio nell'abbondanza,
nel dar vita alla vita così, della terra, dei mari, degli oceani,
dell'atmosfera, delle prime forme di vita, da cui ha preso poi vita
l'uomo dal fango. Ma è anche la morte, fautore di morte, la mano di
dio, esecutore di giustizia quella giustizia, anche spietata che Dio
stesso non può applicare, né vedere, né concepire poiché
inevitabilmente per leggi di natura coinvolge anche gli innocenti e
non può per questo essere a sua immagine e somiglianza. Quindi crea
il suo opposto, il diavolo sprofondandolo sulla terra, come in una
leggenda antica che racconta come la figura di Lucifero sia legata
alle pendici di tale monte, Somma, cima sacra rispettata e anche
odiata.”

Il
Vesuvio, immenso benefattore se dorme, quando si sveglia assiste al
calare implacabile della giustizia per punire il male, un decorso
che non ha causato né regolato lui, perché estraneo alla sua
natura. Si identifica quindi con Dio che – artefice di creazione,
fertilità, abbondanza, benessere ed allo stesso tempo di morte –
non sa impedire né regolare il male. Proprio per questo ne ha
affidato la gestione a Lucifero, diventato angelo del male. Da tutto
ciò nasce la figura del “napoletano”.
“Sulle ceneri i lapilli e l'ignimbrite lavica di questa schizofrenia, tra
benessere e distruzione, vita e morte, giustizia e ingiustizia,
coraggio e ignavia, camorra e onestà, omertà e denuncia, bene e
male si muove l'uomo napoletano: ma catapultato in questa città
figlia del fuoco e del diavolo, come un fauno, innocente
nell'inconsapevolezza di essere, di pulsare, di vivere, di amare,
come vive e ribolle la propria terra. Il napoletano è stato creato
a immagine e somiglianza del suo territorio senza memoria: il
Vesuvio non può avere memoria, poiché ogni volta che si sveglia il
suo respiro distrugge il bello che ha creato in sonno e dunque
disperato torna a dormire per immaginarsi un mondo migliore.”
L’autore
stesso commenta e chiarisce ciò che ha scritto.
“L'allegoria
è fin troppo chiara: l'uomo vesuviano, il napoletano messo in
condizioni di inferiorità di ghettizzazione sociale, di ingiuria
spesso raziale, nel non ritenersi accettato dallo stato, nel non
ritenersi stato nel ritenere lo stato un occupatore, nel ritenere lo
stato la sua famiglia è un individuo destinato ad esplodere, è una
bomba che cammina, distruttiva autolesionista nell'arrangiarsi
sempre.”

Per
più di un’ora il monologo prosegue richiamando anche la figura di
un Pulcinella alquanto stanco; di un Vesuvio furibondo ed
impertinente; di una città in perenne guerra ed emergenza, preda di
avventori che usano questa emergenza per speculazioni milionarie; di
angeli, di diavoli, di comuni popolani che corrono, imprecano, in un
susseguirsi di momenti di passione, paura, orrore, amore.
Per
finire, ecco qualcuna delle più pittoresche frasi del testo:
·
cescannamme
'ntana guerra 'imuorte 'ifamma senza sape'né il movente né 'a
cundanne
·
senza
manco 'a famme – figli
'introcchia
– gente
deritta
e maje falluta
·
non
essere dei fessi, ma furbi, fottere 'uprossimo
pure pe'dento lire e 'upataterno 'a renderà mentre rire
·
quando
faje 'u furbo cu 'i ghiuoche 'i prestiggie che con dignità e onesta
rettitudine pure
si quanne su lo quanne muore te diceno era
fesso ma onesto e nu brav'ommo
·
si
é già detto tutto, si è già cantato, sceneggiato, macchietipizzato,
maldaceizzato, viviianeggiato\ eduardiato, alluccato, arrepezzato,
sbrevognato, ricchiuneggiato
·
... Napoli la vuole uccidere,
lapetiarla, ammazzuccarla, accurtella' 'a
ponta
7 curtiello
comme nu granne guappo sfaccemmiello 'nzomma insozzarla 'iscuorno,
sempre che ire fosse ancora l'esigenza dato il livello
7 cruenta
pezzecaglia che essa ha infinitesimalmente raggiunto, spazzarla via
cu na scupa ta 7 lapide
ruciulianti 'nzummo 'u ffummo di coriacee nubi ardenti cu na
renzecata scicca
7 cunzeguenze
·
foss'a
ddicere ‘a sfaccimma l'uosemo ru'niente, una sguessa livella
citando TOTO', raderla definitivamente al suolo cu nu sudario
echeggiato di " 'Osole mio" stunettiato 'a nu cantante
7 pianino,
cecato per giunta stunato!
·
Ca
sta 'nciarmanno na pusteggia 'int'a nu vico luciano, addo' nisciuno
maje spuniscie 'ibbane!"
Durante
l’intero spettacolo, l’indiscussa bravura dell’attore,
ipnotica ed esplosiva nell’utilizzo del ritmico dialetto della
nostra cara Napoli, è stata supportata dalle impeccabili ed
avvolgenti musiche, eseguite dal vivo da Antonio
della Ragione.
Il
pubblico ha applaudito con convinzione, ma un tantino disorientato.
Napoli,
25 novembre 2015
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